Thursday, July 6, 2023

Angela Veronese

“Io nacqui sul finire del secolo XVIII in riva alla Piave” racconta nella sua autobiografia la poetessa che entrò a far parte degli ambienti intellettuali dei salotti della Teotochi Albrizzi e della contessa Spineda. Angela, ancora ragazzina, seguì il padre che lavorava come giardiniere nei parchi delle ville del patriziato veneto, esperienza che ispirerà precocemente la sua poesia intrisa di un neo-classicismo arcade. Ecco un breve brano tratto dalle Notizie della sua vita scritte da lei medesima.

 "Io compiva tre anni allorché mio padre si divise dalla vecchia sua famiglia per portarsi al servizio dell’eccellentissima casa Zenobio in santa Bona, villetta graziosissima due miglia fuori di Treviso verso il settentrione, ove era un luogo di delizia che apparteneva alla suddetta nobile famiglia. Il mio genitore, a guisa degli antichi patriarchi portava seco tutto ciò che possedeva, cioè la moglie incinta, la figlia, la gatta, un cane da caccia, due fucili, un letto, una culla, veri libri ed un buon numero di strumenti rurali. Tutto ciò era contenuto in una carretta tirata da un vecchio e grigio cavallo che si trascinava dietro tutti quei tesori. Il luogo della nuova abitazione non potea esser più delizioso; un recinto di muro con cancelli di ferro adornati di stemmi patrizi, un palazzo costruito con pochi fregi architettonici, una così detta barchessa, che ne avea troppi, un orto, un brolo, ed un parterre popolato di statue mitologiche. Tutte le pitture a fresco sì della barchessa che del palazzo erano di certo pittore riputatissimo di Venezia, credo il Palma: rappresentavano il trionfo di Paolo Eminio, le delizie di capua, Cleopatra innanzi a Marcantonio, le vittorie di Alessandro, e, non so perché, anche il giudizio di Paride. Le statue offrivano un punto di vista curioso, guerrieri, pastori, ninfe, Dei, centauri, e semidei: mio padre dicea che rappresentavano il gran quadro dell’universo, ossia l’isola di Circe".